Il Grigio del Casentino® non potrebbe esistere senza il suo territorio. Tra animali e foreste c’è un legame indissolubile, lo stesso che c’è tra i nostri prodotti e la cultura gastronomica casentinese.
Il nostro è un progetto di recupero di una tradizione. Siamo tornati ai sistemi di allevamento dei nostri nonni, senza farmaci per far crescere prima gli animali né capannoni in cui confinarli. Anche l’approccio alla carne è quello di un tempo. Qui non esistono sprechi, per una questione di rispetto e perché ogni taglio di un maiale allevato così è prezioso, anche il grasso.
Il Casentino è l’habitat dei nostri maiali ma è anche casa nostra, la valle in cui siamo cresciuti e abbiamo dato vita al nostro progetto.
Il Grigio del Casentino è un maiale ibrido e, come tutti i maiali che hanno il gene di una razza autoctona italiana, ha una notevole componente di grasso. Lo ha ereditato dalla Cinta Senese e gli serve per sopravvivere all’aperto nei mesi più freddi.
Stiamo parlando, quindi, di un maiale geneticamente predisposto all’allevamento estensivo. Gli animali devono essere liberi di muoversi, o la quantità di grasso diventa esagerata.
Lo spazio del nostro Grigio, il suo habitat naturale, sono le foreste del Casentino. In questo territorio i maiali trovano ghiande, bacche, funghi, castagne, radici e frutta in base alla stagione.
Il Casentino non è solo la terra d’origine dei nostri animali, è anche casa nostra. Il nostro progetto ha preso vita proprio qui, a Soci in provincia di Arezzo.
Per Massi, il primo allevamento è stato il podere acquistato dalla nonna nel 1961. Nello stalletto sotto casa c’erano due maiali, la base di un’economia di sussistenza. Ogni inverno venivano macellati; uno veniva consumato dalla famiglia e l’altro veniva venduto per ripagare le spese del primo.
Ai tempi il maiale era un bene primario per la famiglia, tanto da essere oggetto di pignoramento. La sua carne era un dono prezioso, che non si poteva in nessun modo sprecare. La prima lezione che Massi ha imparato è stata questa e ancora oggi è la logica che guida tutto il progetto.
Dopo la morte della nonna il podere è stato diviso tra gli otto figli e poi tra i nipoti. Prima di morire, però, la nonna aveva espresso il desiderio che tutto, prima o poi, ritornasse com’era. Voleva che il podere di famiglia restasse unito, e che anche dopo di lei ci fosse qualcuno a “governare” i maiali con rispetto ed esperienza.
Aveva capito che Massi sarebbe stato la persona più giusta e gli aveva lasciato meno terra degli altri, ma la stalla, che adesso è diventata casa sua. E Massi piano piano si è ricomprato tutto il podere e lì ha iniziato ad allevare i maiali.
Adesso gli animali sono molti di più, parliamo di vero e proprio allevamento estensivo e il podere non basta più, ma l’idea alla base è la stessa. Allevamento come un tempo per il benessere dell’animale e una carne di qualità superiore.
Il Casentino è una terra ricchissima di storia, natura e cultura. Qui si trovano il Parco Nazionale delle foreste Casentinesi, il Monastero di Camaldoli, il Santuario di Chiusi della Verna e le splendide pievi romaniche.
La tradizione gastronomica della zona è uno dei motivi della sua fama. Il nostro allevamento si inserisce in una ricchissima tradizione di prodotti che hanno il maiale come protagonista.
Il costoliccio, il rocchio e la sbriciolona sono prodotti tipici della zona, ma sono gli insaccati considerati meno “nobili” a rispecchiare la nostra idea di consumo consapevole.
Il sambudello, con carne mista e frattaglie, è l’esempio perfetto dell’ideale di recupero. Il nome stesso lo dimostra: sambudello deriva da “S’ha un budello?”, la domanda che faceva il norcino per conservare ritagli e frattaglie in avanzo.
Anche la capaccia è un emblema del nostro motto “del maiale non si butta via nulla”. Testa, cotenne e quinto quarto vanno a combinarsi in questo mosaico di tagli, profumi e sapori diversi.
Attenzione però: non pensate che la qualità di questi prodotti stia solo nel recupero. Sono perfetti dal punto di vista etico per non sprecare la carne ma il loro valore va ben oltre. Chi li ha assaggiati almeno una volta lo sa: la bontà di questi prodotti tradizionali non si può descrivere a parole.
Il Grigio del Casentino non può essere allevato ovunque, o comunque non con gli stessi risultati. La bontà della sua carne dipende dalla sua alimentazione naturale, che dipende a sua volta dalla stagione e dall’abbondanza delle foreste casentinesi.
Anche il nostro sguardo sarebbe diverso lontano da questa terra. Qui è dove siamo nati, dove abbiamo imparato il valore dell’allevamento estensivo e abbiamo plasmato il nostro gusto in fatto di carne.
Questa, infine, è la terra del lardo, della gota e della porchetta, ma anche di moltissimi prodotti di recupero, vere opportunità per godere della bontà più genuina.
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